Net neutrality

Net neutrality

La Federal Communications Commission (Fcc), l’authority americana per le telecomunicazioni, ha votato la misura sulla cosiddetta “net neutrality” che modificherà le regole cui si devono attenersi i provider di internet e che modificherà in maniera profonda l’internet così come l’abbiamo conosciuto finora.

Mettiamo subito in chiaro che a cambiare saranno solo le disposizioni negli Stati Uniti dal momento che questo tipo di regole sono nazionali e che quindi l’Europa, e l’Italia, non sono coinvolte. Ma è altrettanto evidente che, se il vento cambia negli Usa, il dibattito si allargherà al resto del mondo. Già in Europa c’è qualche accenno di voler forzare la situazione. E il business chiederà di poter godere delle opportunità che si aprono.

Perché la scelta di rinunciare alle regole precedenti lascia ampia possibilità di manovra per le società di telecomunicazione, i fornitori di internet, di diversificare il traffico frammentando l’offerta sul modello delle tv a pagamento, rendendo alcuni contenuti prioritari a pagamento. Cerchiamo di capirci meglio.

Cos’è la net neutrality?

La “neutralità della rete” è l’internet come siamo abituati a usarlo oggi, dove tutte le informazioni, che siano messaggi, foto, video o file musicali, vengono trattate allo stesso modo: a nessun fornitore di servizi può essere garantita una velocità maggiore per arrivare all’utente finale: Netflix, Spotify e Youtube hanno la stessa velocità di qualsiasi altro servizio. L’idea di fondo è che internet non segue i principi del denaro ma dell’originalità dell’idea e della qualità del contenuto. Senza la net neutrality, si apre la strada al dominio delle società, in particolare dei fornitori di contenuto, disposte a pagare per avere la priorità per i propri contenuti.

Cosa è successo?

A Dicembre 2017 si è riunita la Fcc per votare su un ordine del giorno che mira a cancellare le modifiche approvate sotto la presidenza di Barack Obama, le quali avevano imposto l’obbligo di non violare la net neutrality. Oggi la maggioranza è in mano all’attuale presidente, il repubblicano Donald Trump, – sempre in misura di tre membri contro due – e il provvedimento è stato approvato. Con la conseguenza che sarà eliminato qualsiasi tipo di regolamentazione per le compagnie tlc, quelle che forniscono banda e accesso.

Tra l’altro il presidente della Fcc scelto da Trump, Ajit Pai, viene dal mondo delle tlc, avendo seguito l’ufficio legale di Verizon. Fin dal suo insediamento Pai ha ribadito che la regolamentazione imposta ai tempi di Obama hanno avuto l’effetto di deprimere gli investimenti nel settore, anche se i dati non segnalano una caduta. Nel corso della riunione, difendendo la sua proposta il presidente ha ribadito che le norme sulla net neutrality hanno frenato l’espansione e l’innovazione e che la liberalizzazione permetterà di far avanzare il business, senza che questo comporti “la morte di internet” o “la fine della democrazia”.

Cosa potrebbe cambiare?

Con la fine della neutralità saranno i contenuti a pagamento ad avere la meglio: per avere Netflix, oltre all’abbonamento, bisognerà pagare una quota supplementare al provider internet (in Italia sarebbero Tim, Vodafone o Fastweb, per esempio) per avere una qualità sufficiente per vedere il film. In assenza di regole che garantiscano la net neutrality, il flusso dei dati e dei file su internet sarà deciso dalla contrattazione tra i big dei contenuti e i big delle tlc, trasferendo ovviamente i costi sull’utente finale. Con il risultato secondario, ma non per questo meno rilevante, di tarpare le ali all’innovazione sul web.

Se i fornitori di internet saranno liberi di fare quello che vogliono, senza alcuna regola, con ogni probabilità non passerà molto tempo che andranno a chiedere soldi ai produttori di contenuti, da Netflix a Youtube ma anche a Google e Facebook, per cercare di portare più traffico sulle loro piattaforme. In effetti i big dei contenuti non sono del tutto contrari perché hanno liquidità sufficiente per pagare “corsie preferenziali” sul web che garantiscano di mettere in un angolo i concorrenti meno ricchi. Ma senz’altro i grandi vincitore di questo provvedimento sono i colossi delle tlc: in Usa parliamo di AT&T, Verizon e Comcast.

Chi perde?

A perdere saranno soprattutto gli utenti normali, come noi. Probabilmente non succederà dalla sera alla mattina, ma negli Stati Uniti i provider di banda larga inizieranno a limitare o rallentare quello che si può vedere sul web, presentando offerte per garantirci di poter vedere i siti e fruire dei servizi che normalmente utilizziamo. A soffrire saranno anche le società internet più piccole, quelle che non riusciranno a garantire un adeguato compenso per il traffico e, soprattutto, le startup che non potranno sperimentare nuovi servizi in rete, allo stesso modo in cui avevano fatto, a suo tempo, Google, Facebook e Netflix.

Cosa succederà?

Di fatto con questa votazione la Fcc rinuncia ai propri poteri regolatori su internet, abdicando in favore del mercato. In seguito alla decisione odierna è probabile che la Federal Communication Commission sia oggetto di  una serie di cause legali – già l’attorney general di New York ha annunciato un’iniziativa a nome di diversi stati – che rimprovereranno all’authority di aver rinunciato a quello che è scritto nel proprio mandato istituzionale. E il risultato non è del tutto scontato.

 

Fonte:  Blog di Pierangelo Soldavini per il Sole24ore